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Temi legali

Temi di attualità giuridica: dalla raccolta delle sentenze più significative agli argomenti più dibattuti

Libro delle leggi francesi

Cittadinanza iure sanguinis e recenti evoluzioni giurisprudenziali

Abstract: Cittadinanza e interruzione della linea di discendenza. Il riconoscimento e i requisiti. La problematica del fenomeno migratorio e le numerose richieste in tempi recenti. 

Le condizioni per la cittadinanza iure sanguinis

La cittadinanza italiana è disciplinata dalla L.5 febbraio 1992 n. 91 che consente la titolarità contemporanea di più cittadinanze ed è fondata sui seguenti principi: 1) la trasmissibilità della cittadinanza per discendenza (principio dello “ius sanguinis”); 2) l’acquisto “iure soli” (per nascita sul territorio) in alcuni casi; 3) la possibilità di cittadinanza multipla; 4) la manifestazione di volontà per acquisto e perdita.

L’art. 1 della legge n. 91/92 stabilisce che è cittadino per nascita il figlio di padre o madre cittadini. Viene, quindi, confermato il principio dello ius sanguinis, già presente nella previgente legislazione (L.555/1912), come principio cardine per l’acquisto della cittadinanza mentre lo ius soli resta un’ipotesi eccezionale e residuale. Nel citare esplicitamente anche la madre, la normativa sancisce e recepisce in pieno il principio di parità tra uomo e donna per quanto attiene alla trasmissione dello status civitatis, anche a seguito della questione di illegittimità costituzionale sollevata in relazione alla legge del 1912 nella parte in cui non prevedeva che fosse cittadino italiano per nascita anche il figlio di madre italiana. Questione sulla quale la Corte Costituzionale si pronunciò con sentenza 28 gennaio 1983, n.30. Invece, i figli di donna italiana e padre di cittadinanza straniera nati prima del 01/01/1948 possono richiedere il riconoscimento della cittadinanza italiana solamente attraverso un procedimento giudiziale in Italia. Non è possibile, infatti, il riconoscimento per via amministrativa attraverso i Consolati.

A prescindere dalla diretta discendenza tra padre e figlio, l’art. 7 della previgente legislazione si prefiggeva di garantire ai figli degli emigrati il mantenimento del legame con il Paese di origine degli ascendenti, introducendo un’importante eccezione al principio dell’unicità della cittadinanza. Ovvero, il figlio di italiano nato in uno Stato estero che gli aveva attribuito la propria cittadinanza secondo il principio dello ius soli (diverse generazioni di italiani sono cresciute in Paesi dove, la sola nascita nel territorio straniero, permetteva l’acquisto della cittadinanza locale) poteva conservare la cittadinanza italiana acquisita alla nascita (bipolidia), anche se il genitore durante la sua minore età incorreva nella perdita, salvo la facoltà di rinunciarvi al raggiungimento della maggiore età, se residente all’estero. In sostanza, le sorti della cittadinanza del figlio minore non dipendevano da quelle del padre e le uniche condizioni richieste si basavano sulla dimostrazione della discendenza dal soggetto originariamente investito dello status di cittadino (l’avo emigrato) e, dall’altro, sulla prova dell’assenza di interruzioni nella trasmissione della cittadinanza.

Il riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis

Relativamente alle modalità del procedimento di riconoscimento del possesso iure sanguinis della cittadinanza italiana, le stesse sono state puntualmente formalizzate nella circolare n. K.28.1 dell’8 aprile 1991 del Ministero dell’Interno, la cui validità giuridica non risulta intaccata dalla successiva entrata in vigore della legge n. 91/1992. Tale circolare recepisce la situazione di doppia cittadinanza e dettaglia la procedura ed i requisiti di cui devono essere in possesso i soggetti che provengono dallo Stato estero e che muniti di passaporto straniero rivendicano la titolarità dello status civitatis italiano. Si parla anche di discendenti di seconda, terza e quarta generazione e oltre di nostri emigrati.

I requisiti sono: 1) la discendenza da avo emigrato investito fin dalla nascita dello status di cittadino; 2) che non vi siano state interruzioni nella trasmissione della cittadinanza; 3) che non sia intervenuta naturalizzazione straniera dell’avo oppure se intervenuta essa deve risalire a data successiva alla nascita del discendente; 4) che non vi siano state dichiarazioni di rinuncia al possesso della cittadinanza conseguita jure sanguinis da parte dei suoi discendenti.

L’autorità competente ad effettuare l’accertamento è determinata in base al luogo di residenza: per i residenti all’estero è l’Ufficio consolare territorialmente competente; per i residenti in Italia il Comune di residenza.

Esistono due ipotesi di riconoscimento, ovvero quelle previste dall’art.2 comma 1 della L. 91 e dall’art. 2 comma 2.

La prima disciplina il riconoscimento o la dichiarazione giudiziale di filiazione durante la minore età e prevede che il minorenne straniero che sia riconosciuto, mediante dichiarazione personale, quale figlio da genitore italiano acquisti automaticamente la cittadinanza italiana.  Il minore acquista tutti i diritti derivanti dal rapporto di filiazione dalla nascita e quindi anche lo status di cittadino (effetto ex tunc).

L’art.2 comma 2 della Legge n. 91 disciplina, invece, il riconoscimento di figlio di genitore italiano nella maggiore età del figlio. L’interessato entro un anno dal riconoscimento per atto volontario o per provvedimento giudiziale può eleggere la cittadinanza italiana con dichiarazione da rendersi all’ufficiale di stato civile del Comune di residenza in Italia oppure all’Autorità diplomatica o consolare italiana in caso di residenza all’estero.

Il fenomeno migratorio e il riconoscimento della cittadinanza

Come si è accennato sopra, agli inizi del 1900, il nostro Paese fu interessato da un massiccio fenomeno emigratorio che portò moltissimi cittadini italiani a cercare fortuna all’estero. Tra questi Paesi, emergono Stati Uniti, Canada, Australia e soprattutto Argentina e Brasile.  Infatti, la percentuale di cittadini argentini e brasiliani aventi origini italiane è abbastanza elevata e, attualmente, contrariamente a quanto è avvenuto all’inizio del secolo, si sta verificando il fenomeno inverso, ovvero una sempre più numerosa richiesta di riconoscimento della cittadinanza italiana (per discendenza da avo italiano) al fine di emigrare in Europa e ivi circolarvi liberamente. Queste frequentissime richieste, in realtà, derivano dalla legislazione che ha interessato il primo fenomeno migratorio (dall’Italia all’estero), per cui, al fine di garantire il legame con il Paese di origine, anche per i discendenti del cittadino italiano emigrato all’estero la legge 555/1912, all’art. 7, recitava «...il cittadino italiano nato e residente in uno Stato estero, dal quale sia ritenuto proprio cittadino per nascita, conserva la cittadinanza italiana...».  L’art.12 della medesima legge determinava la perdita della cittadinanza italiana per il minore avente residenza comune con il genitore che avesse perso la cittadinanza italiana divenendo straniero (caso di naturalizzazione), salvo che non l’avesse riacquistata una volta divenuto maggiorenne. Il mancato riacquisto interrompe, infatti, la trasmissione della linea di discendenza.

L’evoluzione della giurisprudenza sul punto

Numerosi ricorsi sono stati presentati da cittadini stranieri per vedersi riconosciuto lo status civitatis in quanto discendenti da avo italiano, i quali, tuttavia, l’avevano perduto in quanto l’avo con essi convivente si era naturalizzato cittadino straniero durante la loro minore età e i discendenti stessi non avevano optato per il riacquisto, una volta maggiorenni, secondo il combinato disposto degli artt. 9 e 12 della legge 555/1912. Al fine di chiarire la portata normativa delle predette disposizioni, la Suprema Corte è intervenuta con tre sentenze: la n. 454, n. 5518 e n. 14194 del 2024.

Con ordinanza n. 454 depositata l’8 gennaio c.a., la Suprema Corte rigettava il ricorso presentato da un cittadino statunitense che aveva chiesto la cittadinanza italiana per discendenza da avo italiano, ritenendo di aver acquisito, al momento della nascita, la doppia cittadinanza: quella statunitense per ius soli e quella italiana per discendenza. In realtà, l’ascendente aveva perso la cittadinanza italiana nel momento in cui aveva acquisito quella statunitense e ciò aveva costituito un effetto “a domino” anche sui discendenti, i quali non avevano esercitato l’opzione del riacquisto una volta divenuti maggiorenni.

Dunque, la Cassazione chiarisce che il figlio di cittadino italiano nato all’estero può acquisire la cittadinanza italiana iure sanguinis e la cittadinanza iure soli del luogo di nascita, conservando il diritto alla doppia cittadinanza, salvo rinuncia da maggiorenne e salvo che, nelle more della sua minore età, il padre convivente non perda la cittadinanza italiana.  In questi casi, infatti, vi è un’interruzione della linea di discendenza.

Con le sentenze n. 5518 del 01.03.2024 e n. 14194 del 22 maggio 2024, la Corte si sofferma, invece, su due questioni: 1) l’individuazione del momento dell’acquisizione della cittadinanza, ovvero la nascita o il momento dell’elezione; 2) la prova del possesso continuato dello stato di figlio. La prima questione viene risolta nel senso dell’assoluta equiparazione tra il riconoscimento ai sensi del comma 1 dell’art.2 L.91 (figli minorenni) e del comma 2 del medesimo articolo (figli maggiorenni). Pertanto, l’acquisto della cittadinanza di coloro i quali siano stati riconosciuti alla nascita e di coloro che lo divengono durante la maggiore età decorre ex tunc dalla nascita e non dal giorno dell’elezione, con effetto, dunque, retroattivo. Per la seconda questione, il nostro ordinamento giuridico prevede che il possesso continuo dello stato di figlio rilevi quale prova legale in tutti i casi in cui manchi l'atto di nascita o qualora il figlio sia stato iscritto come nato da genitori ignoti. In particolare, l'art. 236 c.c. dispone al primo comma che la filiazione si prova con l'atto di nascita iscritto nei registri dello stato civile e al secondo comma che, in mancanza di questo titolo, basta il possesso continuo dello stato di figlio, così come specificato al successivo art. 237, articolo che, a sua volta, ci dice che il possesso di stato risulta da una serie di fatti che nel loro complesso valgano a dimostrare le relazioni di filiazione e di parentela fra una persona e la famiglia a cui essa pretende di appartenere.  I fatti costitutivi del possesso di stato bastano, in mancanza dell'atto di nascita, a provare la filiazione.

Di avviso diverso, la recentissima giurisprudenza di merito (Tribunale di Bologna ord. del 26.11.2024 Giudice Dott. Marco Gattuso), la quale ha sollevato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, Legge 5 febbraio 1992, n. 91, per cui «è cittadino per nascita: a) il figlio di padre o di madre cittadini» in riferimento agli artt 1, 3 e 117 della Costituzione e agli artt. 9 del Trattato sull’Unione Europea e 20 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea. La questione è sorta a seguito del ricorso presentato da 12 cittadini e cittadine brasiliani, alcuni minorenni, che hanno chiesto il riconoscimento della cittadinanza italiana in ragione della loro discendenza iure sanguinis da un’ava nata in Italia nella seconda metà dell’800. In primis, il Tribunale chiede alla Corte Costituzionale di verificare «in che termini ed entro che limiti la legge ordinaria possa consentire il riconoscimento della cittadinanza senza alcun minimo collegamento con la comunità nazionale, intesa come comunanza di linguaggio, tradizioni culturali e storiche, e con il territorio della Repubblica», e quindi in palese violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità ex art. 3 Cost.. La cittadinanza deve connotare non soltanto un legame legale tra un individuo ed un dato ordinamento (c.d. criterio di collegamento), ma anche un connubio genuino ed effettivo tra i due, sicché «esorbita da tali limiti di ragionevolezza la disciplina italiana che prevede il riconoscimento della cittadinanza italiana per decine di milioni di cittadini di altri Paesi, ivi residenti, sulla base della circostanza che uno, fra i tanti, loro avi era italiano».

Alla luce di ciò, l’ordinanza del Tribunale di Bologna rimette alla Corte la questione di incostituzionalità, ritenuta non manifestamente infondata, dell’art. 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 91 nella parte «in cui non prevede alcun limite al riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis, individuando un ragionevole punto di equilibrio, diretto ad assicurare l’effettività del legame con l’Italia, nel riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis entro il limite di due generazioni, salva la prova che uno degli ascendenti o la persona interessata abbia vissuto in Italia per almeno due anni.

Conclusioni

A fronte delle numerose istanze di cittadinanza presentate e dei numerosi ricorsi che sommergono i nostri giudici di merito, è opportuno mettere a punto le nozioni di cittadinanza e di popolo, ovvero se essi si identifichino con meri legami di sangue creati da qualche avo cittadino risalente nel tempo o se debbano essere riformulati nel senso di partecipazione alla vita della comunità e alle decisioni che riguardano la comunità, alla comunanza culturale e linguistica e alla conoscenza del nostro Paese. A monte delle questioni sulla linea di discendenza, sul momento dell’acquisizione e il possesso di stato di figlio, come sopra visti, sarebbe di buon auspicio comprendere chi, straniero con ascendenti italiani, abbia il diritto (e in quale limite temporale) a essere riconosciuto cittadino italiano.

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