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La tregua mediorientale

Proiezione della Terra

Nelle ultime settimane, il nuovo Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha svolto un ruolo chiave nel facilitare una tregua tra Israele e Hamas, portando a una temporanea cessazione delle ostilità nella Striscia di Gaza. Questa tregua è stata accolta con sollievo dalla comunità internazionale e ha permesso la liberazione dei primi ostaggi detenuti da Hamas (le prime tre donne a partire da ieri). La tregua è stata il risultato di intense negoziazioni tra le parti coinvolte, con il supporto mediato degli Stati Uniti. Dopo quindici devastanti mesi di guerra, l'accordo tra Israele e Hamas è il frutto di una staffetta tra Joe Biden e Donald Trump. L'amministrazione Biden ha faticato ad ammettere che il lavoro delle ultime settimane ha subito un’accelerazione grazie soprattutto alla forte pressione esercitata da Trump e dal suo inviato speciale in Medio Oriente su entrambe le parti e sui mediatori Egitto e Qatar (l’inviato di Trump, Witkoff, avrebbe addirittura interrotto lo Shabbat di Netanyahu per accelerare il raggiungimento di un accordo). In realtà, questo scenario non si sarebbe mai realizzato senza il back office dei negoziatori di Biden, secondo un piano presentato a maggio ma sempre respinto dal governo israeliano. Infatti, Netanyahu non ha mai voluto questo accordo, in quanto, a suo avviso, il controllo del cosiddetto corridoio di Philadelphia (al confine tra la Striscia di Gaza e l'Egitto) era fondamentale. Forse, il passo indietro di Netanyahu va letto come un passo in avanti, ovvero il possibile raggiungimento dell’intesa, tanto agognata, tra Israele e Riad. Per l’amministrazione uscente, si tratta di una vittoria amara, poiché essa arriva dopo un logorante impegno diplomatico su un fronte – il Medio Oriente – che era ritenuto relativamente tranquillo, prima del 7 ottobre 2023. Sicuramente, il pressing esercitato dal neo Presidente eletto è stato determinante per una svolta definitiva.

 Le trattative si sono concentrate principalmente sulla cessazione immediata delle ostilità, sul miglioramento della situazione umanitaria a Gaza e sulla liberazione degli ostaggi in cambio di alcuni prigionieri palestinesi detenuti da Israele. Soprattutto questo ultimo elemento ha segnato un importante passo verso la distensione. Gli ostaggi, tra cui donne e bambini, verranno rilasciati in più fasi, consentendo un graduale ritorno alla normalità. Durante ogni fase, Israele rilascia un certo numero di prigionieri palestinesi in cambio del rilascio degli ostaggi da parte di Hamas. Entrambe le parti hanno l'interesse a mantenere il cessate il fuoco per sei settimane e a completare il rilascio di 33 ostaggi in cambio di oltre 1.200 prigionieri palestinesi. La vera prova arriverà nella seconda fase che comporterà il rilascio del secondo gruppo di ostaggi israeliani, vivi e morti, una volta completato il ritiro di Israele dalla Striscia di Gaza. Questo scambio reciproco è stato negoziato con grande attenzione, per assicurare che entrambe le parti rispettino gli accordi. Le liberazioni sono state scaglionate su un periodo di diverse settimane, per garantire che la tregua rimanga in vigore e che la situazione non degeneri nuovamente. Nonostante la tregua e l’apertura al passaggio dei convogli umanitari, sospeso da maggio dello scorso anno, la situazione umanitaria a Gaza rimane critica. Le organizzazioni umanitarie continuano a lavorare sul campo per fornire assistenza ai civili, garantire l'accesso alle cure mediche e distribuire beni di prima necessità. La tregua ha permesso un parziale miglioramento delle condizioni di vita, ma la strada verso una stabilità a lungo termine è ancora lunga e complessa.

Ancorché la tregua sia stata accolta positivamente, ci sono diverse criticità che potrebbero mettere a rischio la sua tenuta nel lungo periodo:

1. fragilità degli accordi: la tregua è stata descritta da alcuni esperti come fragile ed effimera, poiché si basa su un equilibrio delicato tra le richieste delle parti. Qualsiasi incidente o violazione degli accordi potrebbe rapidamente far precipitare la situazione;

2. pressioni interne: sia in Israele che a Gaza, ci sono fazioni interne che potrebbero non essere favorevoli alla tregua. In Israele, alcuni gruppi politici e militari potrebbero fare pressioni per una risposta più dura contro Hamas. A Gaza, alcune fazioni più radicali potrebbero non essere d'accordo con il rilascio degli ostaggi o con le concessioni fatte per ottenere la tregua;

3. condizioni umanitarie: la situazione umanitaria a Gaza rimane critica, nonostante la tregua. Se le condizioni di vita non migliorano significativamente, potrebbe aumentare il malcontento tra la popolazione, rendendo più difficile il mantenimento della tregua;

4. interferenze esterne: la tregua è anche soggetta alle dinamiche regionali e internazionali. Interferenze da parte di altri attori regionali o un cambiamento nella politica degli Stati Uniti potrebbero influenzare negativamente la situazione;

5. mancanza di un accordo di pace duratura: la tregua è solo un passo temporaneo e non rappresenta una soluzione definitiva al conflitto. Finché non verrà raggiunto un accordo di pace duraturo e accettato da entrambe le parti, il rischio di una ripresa delle ostilità rimarrà sempre presente.

In ogni caso, rimane una vittoria per il neo eletto Presidente che si appresta a giurare oggi.

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